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I demoni di San Pietroburgo

Recensione di: Gabriella Parca

Un bel film, “I demoni di San Pietroburgo” di Giuliano Montaldo. Di quelli che non bisogna arrivare a metà della pellicola per capire di cosa si tratta, o scervellarti alla fine per interpretare il pensiero del regista. No, questo film racconta in modo lineare e coinvolgente un periodo della vita del grande scrittore russo Fiodor Dostoevskij, vissuto dal 1821 al1881 e considerato dai critici letterari colui che nei suoi romanzi ha scrutato più a fondo nell’anima umana.

 

All’epoca dei fatti narrati, lo scrittore, interpretato mirabilmente dall’attore slavo Miki Manojlovic, aveva circa quarant’anni ed era famoso in tutta la Russia, ma anche oberato dai debiti e succube del vizio del gioco. Ma soprattutto aveva alle spalle esperienze terribili, come una falsa fucilazione (era stato condannato a morte con l’accusa di appartenere ad un’organizzazione terrorista e all’ultimo istante la pena capitale era stata commutata in decenni di carcere) e dieci durissimi anni di prigionia in Siberia.

Ora però lo scrittore ripudia la violenza, come si direbbe oggi. Coinvolto suo malgrado in un giro di giovani rivoluzionari che vogliono uccidere lo zar e tutta la “casta” imperiale, tenta d’impedire l’inutile spargimento di sangue, non solo con i suoi scritti, ma anche con la sua azione. Ormai, però, quei giovani che l’ammiravano tanto come intellettuale schierato dalla parte degli umili e degli oppressi, non ascoltano più il suo messaggio di non-violento. Anzi considerano il loro idolo un traditore, mentre lui si consuma tra problemi personali - povertà e malattie - e l’esigenza di “salvare il mondo” che vede precipitare.

In questo film così teso e così drammatico, non mancano tuttavia parentesi di sorriso e di ironia. Come quando una signora che si dice sua grande ammiratrice gli chiede l’autografo per un “suo” libro, che invece è di Turghenev, e lui senza scomporsi firma la dedica: “un amico dell’autore”. Così non mancano analogie con il presente. Anche se sono passati centocinquant’anni da allora, e viviamo in un contesto del tutto diverso, le parole del grande scrittore russo contro il terrorismo e contro la violenza sono sempre attuali. Potremmo sottoscriverle anche oggi.