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Vogliamo anche le rose

Recensione di: Gabriella Parca

C’era molta attesa per questo film-documento di Alina Marazzi, che racconta la storia delle donne italiane negli ultimi cinquant’anni. Un’impresa piuttosto difficile, sia che si basi su tre diari di ragazze anonime, che però vengono travolti dalla ricchezza del materiale di repertorio, sia che si guardi questo materiale come sfogliando un album di fotografie.


Per chi ha vissuto quegli avvenimenti, e li ha anche seguiti per motivi professionali come la sottoscritta, è facile inquadrarli, riconoscere i volti, dare un senso agli slogan che hanno accompagnato le lotte perché le leggi cambiassero e con le leggi anche il costume. Ma per le più giovani, temo sarà difficile andare al di là di uno sguardo superficiale, seppure interessato.

Il film si apre con una signora dall’apparenza tranquilla, che in un’intervista parla della vergogna del delitto d’onore, punito con qualche anno di carcere se a compierlo è l’uomo, dell’adulterio punibile solo se a commetterlo è una donna, anche separata, dell’impossibilità di praticare la contraccezione e persino di farla conoscere, perché è un reato “contro la sanità della stirpe”. E dice che finché tutto questo non cambierà, non si potrà parlare di parità dei sessi… Lo spettatore sobbalza sulla sedia. Dove siamo? Quando? Chi è quella signora che straparla? Non lo sa che oggi, da un pezzo, queste cose non ci sono più? Che la contraccezione è raccomandata nei consultori e sui giornali, che il delitto d’onore è stato cancellato dal nostro codice penale, che non esiste più il reato d’adulterio?... E allora perché non dare una data all’intervista (potrebbe essere dei primi anni sessanta) e un nome all’intervistata, l’avvocatessa romana Ada Picciotto, che più tardi s’impegnò nella lotta per l’istituzione del divorzio e fece parte della direzione della LID?  Ma di questa battaglia che durò cinque anni e fu fondamentale, perché all’inizio nessuno credeva che potesse riuscire data la fortissima opposizione della Chiesa, non si parla nel film.
Invece si “vede” molto sul movimento femminista, con le sue sfilate, i suoi striscioni dalle scritte geniali o folgoranti, e la sua battaglia principale, quella per uscire dall’aborto clandestino. Ma appunto si vede soltanto, perché manca - e questo vale per tutto il film - un commento, una voce narrante che senza essere didascalica accompagni quelle immagini. Ad esempio, in una manifestazione si vede Adele Faccio, fondatrice del CISA ( Centro Italiano Sterilizzazione e Aborto) con la sua giovane assistente Emma Bonino,  entrambe incriminate insieme a Marco Pannella  con l’accusa “infamante” di aiutare le donne ad abortire in una struttura protetta, proprio come più tardi  previde la legge. Ma anche su di loro neanche una parola, come se i cambiamenti basilari avvenuti in questo mezzo secolo, portando l’Italia allo stesso livello degli altri paesi europei, fossero avvenuti fatalmente e non perché in tanti (soprattutto donne) hanno lottato perché avvenissero.
Comunque contano i risultati. Un film può dire più di tanti libri, o almeno può spronare alla lettura di libri, se si vuole approfondire l’argomento. E “Vogliamo anche le rose” in particolare fa capire quanta strada hanno fatto le donne e quanto sia insulso rimpiangere il passato, come alcuni ancora fanno. Quel che dispiace, è vedere che non tutti  trovano il documento tanto interessante da restare fino in fondo, dove troverebbero anche le date dei principali avvenimenti. Utili se si vuole vedere il film una seconda volta.