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Subito nel movimento si sono delineate tre tendenze: quella marxista, più politicizzata, che parla di lotta di classe e di sfruttamento, e considera le donne una “classe di sfruttate”, “il proletariato del proletariato » come lo definì Engels; la tendenza psicanalitica, che si rifà a Reich e parla soprattutto dell’oppressione sessuale, a cui la donna è sottoposta in questa società maschile e patriarcale; la terza, di gran lunga la più diffusa, che parte dalle analisi di Margaret Mead, Simone de Beauvoir e Betty Friedan, senza tuttavia trascurare Reich e Marcuse, per indicare degli obiettivi concreti e immediati, attraverso cui deve passare la liberazione della donna: vale a dire la contraccezione, la depenalizzazione dell’aborto, l’interscambio dei ruoli maschili e femminili, la creazione di “nidi” e asili antiautoritari, e inoltre di tutte quelle strutture sociali che rispondono alle esigenze della famiglia.

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“Cosa ne pensa dell’attuale campagna per legalizzare l’aborto?”
“Bisognerebbe prevenire la necessità di abortire, ci sono altri mezzi contraccettivi oltre la pillola. Io, in quarant’anni di matrimonio, ho fatto una sola figlia e quando nacque dissi a mio marito: “Guardatela bene, perché altri figli non ne faccio”. Eppure ci volevamo bene. Il fatto è che spesso l’uomo si comporta da incosciente, come se bevesse un bicchiere di birra, senza pensare alle conseguenze. Del resto, per quanto riguarda l’aborto, dovrebbe essere considerato alla stregua di ogni altro intervento medico, se la donna non se la sente di avere un figlio.”

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L'ultima femminista della vecchia guardia è morta a Roma, novantenne, nel giugno 1975. Era la dottoressa Teresita Sandeski Scelba, che aveva cominciato a militare giovanissima nel movimento, all'inizio del novecento. Qualche mese prima della sua morte, sono anda a trovarla e abbiamo raccolto la sua lucida testimonianza, che riporto per intero. Attraverso la sua esperienza il passato si collega al presente, coprendo anche un periodo, dal dopoguerra alla rinascita del fernminismo, troppo recente per fare storia e già troppo lontano per essere cronaca.

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Il nuovo femminismo esplose in America negli anni sessanta, e si diffuse rapidamente in Europa e in tutto il mondo occidentale. Le prime avvisaglie si erano avute nel 1963, quando apparve il libro di Betty Friedan La mistica della femminilità, in cui si smontava il mito del “matriarcato americano”, mostrando come questa pseudo-matriarca fosse in effetti una donna che rinunciava ad essere se stessa per vivere all’ombra del marito e dei figli, rinchiusa nella sua casa, sia pure con tutti i comfort della moderna civiltà industriale.

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L’atteggiarnento realmente razzista del fascismo nei riguardi della donna veniva completato dalla legislazione che non solo non fece un passo avanti in tema di diritto di famiglia, ma ne fece qualcuno indietro. L'uomo era capo indiscusso della famiglia e la donna doveva seguirlo (come un cagnolino) dovunque egli decidesse di fissare la sua dimora; aveva sui figli la "patria potestà", per cui spettava a lui ogni decisione, anche se era separato dalla moglie e i figli vivevano con la madre.

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Le donne che si opposero al fascismo furono relativamente poche, e quasi tutte finirono in carcere o al confino esattamente come gli uomini, di cui divisero i rischi nelle organizzazioni antifasciste clandestine. Inoltre ci furono alcune categorie di lavoratrici, ad esempio le mondine, che fecero dei grandi scioperi per difendere il livello dei loro salari. Ma la stragrande maggioranza delle italiane non fu né fascista né antifascista: esse accettarono il regime perché da sempre erano state educate a sopportare e ad adattarsi, e perché la Chiesa lo aveva accettato per prima, definendo Mussolini "l'uomo mandato dalla Provvidenza".