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Il movimento della donna in Francia - Capitolo XXXIX

Il nuovo femminismo arrivò in Francia sull’onda del famoso maggio 1968, quando, durante la rivolta studentesca, molte ragazze poterono “prendere la parola” nelle assemblee ed esprimersi liberamente per la prima volta. Però fu subito chiaro che le donne avevano molto meno peso degli uomini anche in quell’occasione. Cioè, mentre i ragazzi rappresentavano i cervelli e i porta-parola del Movimento studentesco, le loro colleghe erano relegate nel ruolo di ausiliarie, di esecutrici, di piccole segretarie della rivoluzione.

Perciò molte di loro si staccarono dal M.S., come altre vennero via dai partiti della sinistra tradizionale, e cominciarono a riunirsi tra di loro per esaminare i problemi specifici della condizione femminile, discutendone in prima persona. La cosa però non piacque al Movimento studentesco, come non piacque ai partiti, che accusarono le donne di essere delle piccolo-borghesi, se non capivano che la lotta di classe avrebbe risolto anche i loro problemi. Ma le femministe risposero che erano più di cent’anni che sentivano ripetere quei luoghi comuni, smentiti dagli avvenimenti: infatti, anche nei paesi socialisti il potere politico e decisionale era rimasto in mano agli uomini, sebbene le donne avessero in parte migliorato la loro condizione.
A Vincennes, una delle università parigine, ci furono degli scontri fra studentesse aderenti al M.L.F. (Mouvement de libération des femmes) e ragazzi del Movimento studentesco, che non accettavano di essere esclusi dalle riunioni e dalle lotte femministe. Poi, un po’ alla volta, il conffitto si chiarì e rientrò, visto che l’esclusione dei “maschi” riguardava quella prima fase della lotta ed era necessaria perché le ragazze si esprimessero con spontaneità, anche quando parlavano delle loro esperienze più intime. Tuttavia una certa ruggine e diffidenza da parte della sinistra rimase sempre, confermando in definitiva quello che pensavano le donne, ossia che non le si rispettava al punto da accettare le loro scelte quando non erano condivise, e che gli uomini continuavano a considerarle una loro proprietà, una colonia senza autonomia.
Il Movimento di liberazione della donna nacque dunque in Francia nelle aule universitarie, ma passò del tempo prima che si estendesse alle casalinghe e alle operaie. Le femministe si riunivano generalmente una volta a settimana alla Facoltà di Belle Arti, nel Quartiere Latino, e lì, in una grande assemblea, discutevano di tutto. Poco lontano, in un locale colmo di stampati e manifesti, c’era il loro quartier generale e il telefono squillava notte e giorno, perché da ogni angolo della Francia si chiedevano notizie, si volevano informazioni. Ma ben presto, come era accaduto in America, l’unità di misura del movimento divenne il “piccolo gruppo”, composto da Otto o dieci ragazze, che si riunivano in casa dell’una o dell’altra.
All’inizio si fece soprattutto “dell’autocoscienza”, parlando delle proprie esperienze e discutendo i problemi della sessualità; poi, un’ala del movimento si dedicò a delle azioni spettacolari, capaci cioè di richiamare l’attenzione del pubblico e di suscitare l’interesse della stampa. Fu verso la metà del 1970 che il movimento uscì allo scoperto con una di queste azioni: era il giorno in cui si ricordava il Milite ignoto, e varie delegazioni si recavano a deporre corone d’alloro sotto l’Arco di Trionfo. A un tratto si vide un gruppo di ragazze insieme a una nota scrittrice, Christiane Rochefort, avvicinarsi al famoso Arco con una grande corona di fiori e contemporaneamente si aprì sulle loro teste un enorme striscione con la scritta “Metà degli uomini sono donne”. I poliziotti accorsero, convinti che si trattasse di un insulto, e solo allora si accorsero che anche la corona non era dedicata al Milite ignoto, ma alla “donna ignota del milite ignoto”. Le femministe furono caricate sul furgone della polizia - che i parigini chiamano “paniere da insalata” - e portate precipitosamente in questura, dove poterono finalmente spiegare il significato del loro gesto: richiamare cioè l’attenzione sul fatto che metà del genere umano è composto da donne, le quali vengono continuamente ignorate, come accade appunto all’ignota compagna del più “oscuro eroe”. Rilasciate qualche ora dopo, le componenti di quel primo “commando” furono intervistate alla televisione, e da quel momento anche la grande stampa francese cominciò a interessarsi del femminismo.
Un’altra azione spettacolare che suscitò un’eco in tutto il mondo e fu anche imitata in altri paesi, fu il famoso Manifesto delle 343, in cui altrettante donne più o meno celebri si autodenunciavano, dichiarando di aver abortito. In testa alla lista delle firmatarie c’era la famosa scrittrice Simone de Beauvoir, seguita da altri grandi nomi della letteratura e dell’arte. E la cosa dovette impressionare non solo l’opinione pubblica ma anche la magistratura, perché quella spettacolare confessione di un reato punibile con anni di carcere, fu presa per quello che era in realtà: una protesta collettiva contro una legge da modificare. Il manifesto con tutte le firme fu pubblicato da uno dei maggiori settimanali francesi, Le nouvel observateur e fu diffuso così a centinaia di migliaia di copie. Eccone per intero il breve testo che suscitò tanto scalpore: «Un milione di donne abortiscono ogni anno in Francia. Esse lo fanno in condizioni pericolose a causa della clandestinità alla quale sono costrette, mentre questa operazione praticata sotto il controllo medico è tra le più semplici. Si fa il silenzio su questi milioni di donne. Io dichiaro di essere una di loro: ho fatto ricorso all’aborto. Come reclamiamo di poter usare liberamente mezzi anticoncezionali, così reclamiamo l’aborto libero”.

L'avventurosa storia del femminismo di Gabriella Parca
Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. - Milano - Prima edizione Collana Aperta maggio 1976
Seconda Edizione Oscar Mondadori marzo 1981
Copyright by Gabriella Parca - Terza Edizione - www.cpdonna.it 2005