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Risposta a Susanna Tamaro

Avete letto l’articolo di Susanna Tamaro sul Corriere del 17 aprile, sotto il titolo “Il femminismo non ha liberato le donne” ? Io si, l’ho letto, e sono rimasta allibita. Come si fa a ridurre un fenomeno storico così complesso come il femminismo, nato negli Stati Uniti a metà dell’800, poi diffusosi in Europa e nel mondo, alternando periodi di grande visibilità a lunghi silenzi, come si fa a ridurlo alla questione dell’aborto in Italia o a come sono le donne oggi rispetto a quarant’anni fa?

Il femminismo ha combattuto grandi battaglie per l’emancipazione , e poi per la liberazione femminile contemporaneamente nei vari paesi. La prima è stata quella per il voto, che fece dare alle femministe dai loro avversari il nome spregiativo di suffragette e che si concluse solo nei due primi decenni del novecento. Tranne che in Italia, dove a causa del periodo nefasto del fascismo, il voto fu “concesso” alle donne solo nel 1945. Da noi ci fu poi la battaglia per il divorzio, la cui istituzione liberava i coniugi che avevano visto fallire il loro matrimonio da una condizione di “separati a vita”, molto più dura per le donne a causa della “doppia morale” e anche delle leggi. Perché l’adulterio femminile, persino se apparente, era considerato reato, mentre per l’uomo lo era solo il concubinaggio. Per non parlare del delitto d’onore, che faceva dire ad un signore siciliano: “ Se avessi ucciso mia moglie per motivi d’onore avrei avuto tre anni (di carcere), da separato sono condannato all’ergastolo”.

 

Poi ci fu la battaglia per la parità sul lavoro e quella per la riforma del diritto di famiglia. Battaglie combattute un po’ in sordina, più in parlamento che in piazza, ma il movimento femminista era sempre presente. Infine arrivò l’impegno per la depenalizzazione dell’aborto, un problema molto discusso e delicato perché toccava la sfera etica, ma anche molto sentito dalle donne che si mobilitarono come all’epoca della lotta per il voto. Perché non è che non si abortisse o si abortisse di meno, quando era un gravissimo reato: solo che si faceva di nascosto, e chi poteva pagare cifre notevoli andava da un ginecologo, le altre – ed erano la maggior parte – ricorrevano alle “mammane”, alle praticone, al massimo a qualche ostetrica che “operava” in casa. E ogni intervento era un rischio per la salute della donna, con conseguenze anche psicologiche gravi e a volte con esiti mortali. Oggi si discute se la pillola abortiva è abbastanza sicura, se è indispensabile il ricovero di tre giorni per chi vi ricorre, comunque sempre da praticare in ospedale. Ma allora, l’aborto era solo un gravissimo reato e nessuno si preoccupava di quel che avveniva alle donne.

Nel suo articolo Susanna Tamaro si scaglia contro le ragazze italiane che ricorrono all’interruzione di gravidanza.”Queste, figlie o anche nipoti delle femministe…sono ragazze nate negli anni 90, cresciute in un mondo permissivo, a cui certo non mancano le possibilità di informarsi - scrive. - Possibile che non sappiano come nascono i bambini? Possibile che non si siano accorte che i profilattici sono in vendita ovunque, persino nei distributori automatici notturni? Per quale ragione accettano rapporti non protetti? Si rendono conto della straordinaria ferita cui vanno incontro o forse pensano che, in fondo, l’aborto non sia che un mezzo anticoncezionale come un altro? Se hai fortuna ti va tutto bene, se hai sfortuna, te ne sbarazzi, pazienza. Non sarà che una seccatura in più.”

A parte questa visione maschilista che dà la responsabilità di una eventuale gravidanza alla sola donna, mentre il rapporto lo si ha in due, possibile che questa cattolicissima scrittrice non sappia che la Chiesa ha sempre lottato non soltanto contro l’aborto, ma anche contro la contraccezione e l’uso del preservativo, impedendo che la sola vera forma di prevenzione entrasse e si radicasse nella nostra cultura. In questo validamente affiancata dalle leggi fasciste, che bollavano la contraccezione come reato contro “la sanità della stirpe”. Tanto che le prime pillole anticoncezionali arrivarono in Italia come terapeutiche per la sterilità e altri disturbi. E anche se ormai quelle leggi sono state abolite da un pezzo, l’Italia resta agli ultimi posti fra i paesi occidentali, per l’uso della pillola.

Sono più felici, mi chiedo, sono più libere le ragazze di adesso rispetto a quarantanni fa? - scrive più avanti la Tamaro, prendendo a riferimento la sua giovinezza e ignorando tutti i cambiamenti che ci sono stati nel frattempo.- Non mi pare. Le grandi battaglie per la liberazione femminile sembrano purtroppo aver portato le donne ad essere soltanto oggetti in modo diverso…” E qui giù una filippica alla Girolamo Savonarola contro le bambine che si vestono come cocotte, che rischiano l’anoressia per la linea ( finalmente si comincia a combattere l’obesità nei bambini, ma questo lo dico io), contro le adolescenti dai facili rapporti. “Più fai sesso, più sei in gamba, più sei ammirata dal gruppo.” Insomma ne esce un quadro da Sodoma e Gomorra , e sotto sotto si insinua anche il sospetto che il femminismo non sia estraneo a tutto questo.

Ora, la rivoluzione culturale che un così vasto movimento ha portato in tutti i continenti - persino in Africa , dove molte donne si dichiarano contro la poligamia, prima accettata come un dogma - è sotto gli occhi di tutti e non ha bisogno di essere difesa. Si può solo dire che non è ancora compiuta, perché essa evolve col tempo e accompagnerà le donne finché esisteranno. Ci possono essere anche dei momenti di regressione, e allora bisogna parlarne, discuterne, non ignorarli. Per esempio, oggi rispetto alle origini del femminismo, la famosa solidarietà femminile è diminuita, esiste più a parole che nei fatti. E le pochissime donne che hanno un po’ di potere, lo gestiscono spesso come gli uomini, forse anche peggio, perché cercano di adeguarsi a quel modello e si sa che l‘imitazione è sempre peggiore dell’originale. E’ di questo che dovremmo parlare, discutere, magari tornando ai gruppi di autocoscienza: non se il femminismo ha liberato o no le donne. L’obiettivo è che le prossime generazioni ci portino una donna nuova.

 

Gabriella Parca