Loading...
Immagine

Into the wild

Recensione di: Gabriella Parca

In "Into the wild", letteralmente “Nel mondo selvaggio”, che il regista americano Sean Penn ha tratto da un libro di Jon Krakauer, ispirato a sua volta alla vicenda vera del giovane Cristopher McCandless, si ritrovano, portati all’estremo, tutti i miti della cultura americana.

A cominciare da quello della libertà, che in questo caso significa rottura di ogni legame, con la famiglia, con la società, con le amicizie, e sconfina nel totale individualismo. L’esatto contrario di quello che diceva Gaber in una sua canzone: la libertà è partecipazione.

Quindi l’uomo, cavaliere solitario, deve contare solo su se stesso, e cercare un rapporto diretto con la natura, che però è anche una sfida alle sue manifestazioni più selvagge.  Poi c’è il mito del viaggio, quasi fine a se stesso perché non ha una meta e ispira osservazioni filosofiche alquanto discutibili, come quando si dice che i rapporti umani non contano, non hanno alcuna importanza. Ma soprattutto il “viaggiatore” non conosce e non parla con gli abitanti dei luoghi che attraversa, e ha soltanto qualche sporadico contatto con altri “stranieri” come lui, che incontra per caso.
Tuttavia si tratta di un film grandioso, di una durata altrettanto ragguardevole - due ore e mezzo circa -, con paesaggi bellissimi e un’interpretazione perfetta  del giovane attore Emile Hirsch. Un film da vedere anche per discutere.