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Il nastro bianco

Cinema: L'occhio di una donna

Bello, molto bello. Premiato con la Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes, giudicato un capolavoro dalla critica, IL NASTRO BIANCO di Michael Haneke -autore pluripremiato per LA PIANISTA e NIENTE DA NASCONDERE - è percorso da un’ombra di cupezza che forse lo rende unico nel suo genere, uno di quei film che non si dimenticano e spingono alla riflessione.


E’ il ritratto di un villaggio tedesco ai primi del ‘900, dove la vita è altrettanto dura che l’educazione impartita, la cui severità sfiora il sadismo, e l’uomo afferma la sua indiscussa autorità sia sulla donna che sui figli, i quali si rivolgono a lui chiamandolo “signor padre”, mentre la figura femminile è valutata solo in base alla sua “utilità”.

In questo villaggio succedono cose strane, come un tranello tirato al medico per farlo cadere da cavallo e mandarlo all’ospedale, o una donna che muore sul lavoro in un incidente più che prevedibile e quindi evitabile, ma di cui non si cerca il responsabile, quasi fosse un disegno dell’Onnipotente, e chi non l’accetta è visto come un reprobo, un delinquente…Poi c’è il bambino “ritardato” che viene fatto morire non si sa perché. E lo squallore del suo funerale richiama alla mente, per associazione degli opposti, lo splendido episodio del “funeralino” girato da De Sica ne L’ORO DI NAPOLI, dove la commozione della madre che vuole rendere al figlioletto l’ultimo omaggio del sole e del mare nel caldo paesaggio mediterraneo, si comunica inevitabilmente agli spettatori.

Tra gli uomini del villaggio, che sono sempre diversi da quel che vogliono sembrare dietro la maschera dell’ipocrisia, c’è anche chi tenta l’approccio di un incesto, che non si sa se si ripeterà. Ma in fondo nessuno si salva, tranne un insegnante un po’ imbranato che è la voce narrante del film. E si salvano in parte i bambini, vittime di una concezione della vita che non conosce tenerezza, non conosce amore, e li rende a volte anche crudeli. In questa situazione di vuoto affettivo, essi possono comunicare e capirsi solo tra di loro. Bellissimo il dialogo tra la ragazza adolescente e il fratellino di sette otto anni, che parlano della mamma morta: il bambino non sa cos’è la morte e vuole capirlo, la sorella cerca di spiegarglielo con dolcezza, senza spaventarlo. Impresa difficile. Ma lei ci riesce. Una lezione per molti adulti.

 

recensione di Gabriella Parca