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La funzionalità del sintomo

di: Dott.ssa Silvia Cipolli

Analisi di un percorso terapeutico.
La Psicoterapia Strategica consiste essenzialmente nel ristrutturare la visione che il soggetto ha della realtà, ovvero operare un cambiamento del significato e del valore che l’individuo attribuisce all’esperienza.

Ma è attraverso il riconoscimento del sintomo o nella totale remissione che si può individuare l’indice di un cambiamento?

Su tale quesito si struttura il presente lavoro, in cui, attraverso l’analisi di un caso clinico di disturbo alimentare, si spiegherà il senso e la dimensione del cambiamento in chiave strategica e la modalità di “co-gestione”, tra paziente e terapeuta, del sintomo.
Ciò che emerge dall’analisi del caso è il ruolo adattivo del disturbo e l’aspetto vantaggioso del sintomo per la paziente. Infatti, dopo un anno e cinque mesi di lavoro terapeutico, è stato possibile verificare un cambiamento della paziente, la quale, anche senza la totale remissione del sintomo, tuttavia è stata in grado di avvicinarsi ad esso, conoscendone e riconoscendone anche i vantaggi secondari. Il ruolo del terapeuta strategico è, infatti, consistito nell’aiutare il cliente a non ”attaccare” il sintomo, ma ad “utilizzarlo”, poiché è solo cercando di entrare in contatto con la funzionalità di uno specifico sintomo che questo può perdere di efficacia.

Il caso clinico
ALICE, una donna di 35 anni, istruzione secondaria; durata del percorso terapeutico: 1anno e 5 mesi.

Alice si presenta in terapia nel Dicembre 2002, con una auto-diagnosi di bulimia. L’esordio della sintomatologia viene collocata intorno ai 21 anni, con un decorso di circa due anni. Intorno ai 23 anni (la paziente va a vivere da sola e intesse una storia sentimentale importante) si verifica una quasi totale remissione del sintomo fino ai 32 anni, quando invece il disturbo si ripresenta con maggiore violenza e la paziente decide di chiedere un intervento terapeutico.
La sintomatologia L’episodio avviene in situazioni apparentemente casuali, la paziente non ha mai riscontrato caratteristiche comuni nel ”pre” attacco; tuttavia esso non avviene mai al lavoro o in situazioni che possano ”imbarazzarla”, generalmente avviene quando è da sola.
Rituale : Alice accende la televisione e inizia a fagocitare tutto il cibo che trova. Non smette mai di mangiare, non ricorda di averci mai provato. Come se in quel momento ci fosse un’altra persona. Alice racconta di vergognarsi di questa sua parte così animale, così ingestibile, così debole, che lei cerca invece solo di “controllare”. Sono forti e frequenti le valenze di controllo e di potere nella sua narrazione, fin dalla prima seduta, e vengono giustificate da un’educazione in cui “bisogna cavarsela da soli”, in cui lei se l’è sempre cavata da sola.
Dopo l’attacco, la paziente si induce il vomito manualmente, senza ricorrere a lassativi. Poi ha una sorta di collasso nervoso, si distende sul letto e di solito si addormenta. Al risveglio lo stato d’animo è triste e resta cupo per il resto della giornata. A volte gli attacchi sono anche 4/5 volte al giorno.
Alice è una persona dotata di una buona capacità elaborativa. La narrazione consente di evidenziare una sua importante tentata soluzione al problema: la relazione amorosa intessuta all’età di 23 anni sembra sostituire la dipendenza dal cibo e quando la storia finisce Alice si sente a terra, a pezzi. Non si lega più intensamente a nessuno, ma non si avventa sul cibo. Solo recentemente, quando ricade negli attacchi bulimici, solo allora racconta di aver sentito il bisogno di ricontattare l’ex fidanzato asserendo che: “Forse lo ho cercato perché è stato l’unico che è riuscito ad aiutarmi, in passato”.
Le manovre esplorative consentono di approfondire l’analisi: da quando Alice ha 32 anni, la madre, con cui dice di avere un rapporto difficile, inizia a farle confidenze sui suoi rapporti extraconiugali, non solo si confida ma le chiede implicitamente di essere complice delle sue relazioni, dei tradimenti. Alice, figlia confidente della traditrice e del tradito, legittima la madre affermando che ”infondo ha il diritto di essere felice, papà non la ha mai resa felice!”. Alice si fa carico di tutto questo e non ne parla con il fratello, non si arrabbia, non si sottrae.
Ipotesi interpretative sulla funzionalità del sintomo. In primavera iniziano le confidenze della madre e in giugno Alice riprende gli attacchi bulimici. Il cibo appare come contenitore di rabbia e di sentimenti inespressi, il cibo diviene ”cestino” in cui vomitare tutto lo schifo che ingoia ascoltando le confidenze della madre. .
Nei disturbi alimentari il Sé viene confermato, identificato dalla relazione. La disapprovazione, il disinteresse (Alice racconta di aver avuto sempre molta libertà, che la gratificava per la fiducia , ma che col tempo ha iniziato a sentire come disinteresse nei suoi confronti) di persone significative innesca una percezione di sé a tal punto intollerabile da produrre un senso di disorientamento totale, un senso di inconsistenza personale.
Alice cerca da sempre attenzione e interesse da parte della madre, vuole che si preoccupi, che ci sia, e pur di averla accetta di “ingoiare” le sue confidenze, senza ribattere, senza condividere con il fratello, il “piccolo Mirko”. La paziente racconta di sentirsi sola contro se stessa, contro una se stessa con cui si arrabbia perché paradossalmente, ingoiando senza poter reagire, diventa fragile.
La dinamica bulimica sembra, dunque, riprodurre tale situazione: Alice ingoia tutto nel suo corpo pattumiera, tutto il negativo, lo schifo. Senza fermarsi, senza mai volersi fermare perché l’attacco è l’unico modo in cui Alice può “espellere”.
Il lavoro terapeutico, parallelamente all’analisi del rapporto con la madre, procede cercando di fare in modo che Alice si avvicini al padre e al fratello, persone presenti nella narrazione affettiva della donna, ma emotivamente ancora distanti.
Il cambiamento. Attraverso la manovra terapeutica in cui viene prescritto ad Alice di rappresentarsi “dopo l’attacco bulimico”, si attua la prima forma di cambiamento: “Pensare a come sarei stata dopo mi ha fatto interrompere l’atto, naturalmente, senza forzature, per la prima volta!” è la frase di Alice che segna l’inizio di tale cambiamento. La paziente ha, così, incominciato ad accostarsi al proprio rituale, a sentirne il valore compensatorio/affettivo e questo nuovo approccio le ha permesso di prenderne le distanze e di sostituirlo, per la prima volta, con un comportamento diverso, altrettanto funzionale (chiarire verbalmente il malinteso con l’amica). Alice ancora si vergogna di questa sua parte, ma inizia ad accostarsi alla sintomatologia con benevolenza e comprensione, ad ascoltarla e a darle un nome e quindi una dignità. Il percorso prosegue in questa direzione: non demolire il problema , non offenderlo con soprannomi disgustosi, “le schifezze”, “le porcherie”, ma continuare a conoscerlo. E’ l’unico modo in cui adesso Alice riesce ad espellere, a svuotarsi; vi ricorre perché è l’unico modo che conosce per vivere le emozioni, per esprimerle, per sopravvivere. Infatti non riesce ad interrompere l’atto bulimico, ancora ne sente la necessità. Il disturbo alimentare rappresenta, in questa fase, un alleato, non una nemico da combattere.
La narrazione di Alice si arricchisce nel corso delle sedute di elementi, che aggiungono spessore e valore al suo sintomo: “Vivo sola da quando avevo 21 anni. Sono sempre stata libera e indipendente. Da circa tre anni ho cominciato a sentire la mancanza della famiglia e sono tornata a casa. Ma il papà non c’era mai e la mamma.. è questa. Una confidente.”
Dunque un riavvicinamento alla famiglia con aspettative ideali che non corrispondono alla realtà. Una realtà che Alice accetta perché ha bisogno di calore familiare. Ma l’accettazione non è consapevole, è un far finta che vada tutto bene, è un “come se” e quindi ha un costo emotivo per Alice che riesce a compensare grazie alla dinamica bulimica. Il peso del far finta, del come se è enorme e la sintomatologia è la risposta, per ora l’unica, che le ha consentito di accettare e di sopravvivere. E non si farà scalfire se non dopo averla capita e degnamente sostituita, costruendo un approccio diverso ai legami, alle persone della sua famiglia, alle emozioni. E’ difficile. Ma non è la realtà da cambiare. La realtà non si cambia. Possiamo tentare di leggerla in modo diverso. Possiamo incidere solo sulla realtà di secondo ordine, sul significato e il valore delle cose, non sulle cose in sé..
Attualmente il modello relazionale del “come se” costituisce l’unico vero modello di rapporto interpersonale per Alice, impostato su alti livelli di “alleanza” e minimi livelli di ”conflittualità”.
Il percorso di Alice prosegue, la funzionalità del sintomo si arricchisce gradualmente di nuovi elementi. Alice dialoga con la parte positiva del sintomo, grazie ad una buona capacità elaborativa. Ha una motivazione al cambiamento oscillante. Sostanzialmente teme di abbandonare una modalità che conosce per una modalità ancora da costruire.
La ristrutturazione. Nel corso delle sedute successive Alice si presenta visibilmente diversa: volto meno contratto, pelle liscia, sorride…porta in terapia frasi importanti come: “Ho provato ad accanirmi meno contro la bulimia e il risultato è che.. ha funzionato! Sono anche andata a vedere sui diversi siti che trattano l’argomento e ho scoperto un mondo!”. Poi continua dicendo: ”….. ho chiamato mio padre, per la festa del papà. Qualcosa mai fatto prima; in casa nostra non c’era spazio per i festeggiamenti, per i compleanni, per qualunque manifestazione emotiva…”
Alice si sforza molto per cambiare, per capire. Sta iniziando a sentire che il disturbo alimentare non è il nemico. Che la ha aiutata e ancora l’aiuta a sopravvivere, che ha avuto una grande funzione “adattiva”. Infatti, soltanto quando la paziente imparerà ad esprimere le emozioni, a vivere i rapporti e ad accettare le persone nella loro dimensione reale, ad accettare di “rischiare” nelle relazioni, non dovrà più ”ingoiare e vomitare” il cibo. Alice sta iniziando a capire che il problema lo ha costruito lei, non è contro di lei e solo lei può risolverlo;sta imparando a misurare il rapporto con gli altri e con se stessa con parametri diversi, più evoluti, come il rispetto e la stima, che non si limitano e non si esauriscono nello spessore del corpo: ”sono ingrassata tre chili, ma mi sento più leggera!
Spesso, infatti, il corpo sottile, quasi trasparente, è una dimensione tipica dei disturbi alimentari, che sono considerati da una certa corrente teorica, disturbi relazionali, quindi è come se il corpo e il suo spessore fossero l’unico vero metro di misura dei rapporti con gli altri, della distanza con gli altri: se il corpo è esile e trasparente non c’è distanza, non c’è paura, non c’è relazione.
Il consolidamento. Alice comincia a sentire da sola il valore compensatorio dell’attacco bulimico. Quando è in difficoltà a gestire una relazione interpersonale è lei che lo cerca, che riproduce l’attacco. Cerca e riproduce lo schema che conosce bene, che la fa stare meglio. Adesso sa che avviene in questo modo. Lo sente e lo fa. Si è raggiunta consapevolezza.
Nel corso degli ultimi mesi Alice ha ripreso contatto con le antiche passioni, la lettura, lo sport ed è tornata a farsi la spesa: ”Era quasi un anno che il mio frigo era vuoto. Compravo solo per abbuffarmi ed espellere! Sto riacquistando il piacere del cibo, la voglia e la capacità di riconoscere e di vivere il piacere, quello sano!”, racconta durante la terapia..
Alice si sta, dunque, preparando a vivere le relazioni in modo più autentico, che comprende il rischio, il piacere e la delusione. All’interno della dinamica familiare, il rapporto con il fratello ha acquistato spessore rispetto alla confidenza ed alla complicità, mentre con la madre Alice oscilla ancora tra il desiderio/ tentativo di trovare la Mamma, la rabbia di non riuscirci e la consapevolezza di dover accettare la sua mamma.
Gli attacchi bulimici si manifestano da ormai circa due mesi con un unico episodio settimanale, con un significato che Alice connota come amichevole, un rituale: ”non so neanche se sia davvero bulimia, non ne ho bisogno, come una volta; è una piccola presenza quasi rassicurante, non un bisogno!”
Alice prosegue il proprio cammino verso il consolidamento di una capacità nuova di fare connessioni, di dare significato e valore alle cose.

Conclusioni
La psicoterapia strategica consiste essenzialmente nel ristrutturare la visione che il soggetto ha della realtà. Ristrutturare significa operare un cambiamento del significato e del valore che l’individuo attribuisce alle cose, all’esperienza.
La ristrutturazione non cambia i fatti concreti, ma il significato che il soggetto attribuisce alla situazione. Attraverso l’analisi del caso di Alice si è cercato di spiegare, in chiave strategica, cosa si debba intendere per cambiamento.
Lo schema comportamentale del paziente, infatti, svolge un importante ruolo adattivo; non solo è un limite, una difesa, ma anche una risorsa altamente vantaggiosa per la persona, che le ha comunque consentito di costruire le relazioni e l’equilibrio necessari e sufficienti per arrivare sino al momento attuale. Altrimenti, come sostiene Nardone (1999) tale cosa tenderebbe a scomparire. Se fosse stato solo un limite svantaggioso, lo schema comportamentale del paziente si sarebbe, infatti, già modificato, per selezione naturale, per necessità di sopravvivenza.
Il cambiamento è tuttavia possibile soltanto nella misura in cui il paziente lo ritiene funzionale alla propria omeostasi psicologica, poiché il sintomo ha una propria valenza comunicativa, specifica del sistema in cui si manifesta e deve necessariamente essere “utilizzato”. Nel corso della terapia occorre servirsi di ciò che il paziente offre, difese incluse, comunicando con lui nello stesso linguaggio.
Se si combatte il sintomo, considerandolo un nemico da eliminare, è proprio in quel caso che il sintomo persiste e si rafforza, se invece si tenta di entrare in contatto con la sua funzionalità, e si cerca di interpretare il suo messaggio, collocandolo in un ambiente relazionale preciso, il sintomo può perdere di efficacia e quindi rimettersi o modificarsi. Solo attraverso tale metodologia di lavoro si può operare una vera ristrutturazione.
Alice formula una richiesta di aiuto terapeutico perché soffre, non conosce e quindi non capisce la natura del proprio sintomo. Le sue tentate soluzioni sono consistite prevalentemente nel negarlo o attaccarlo frontalmente.
Il percorso terapeutico consente alla giovane donna di aprire un dialogo e dare una dignità al sintomo. La cornice attribuzionale in cui ci muoviamo ha portato Alice a riconoscere nella bulimia una propria creazione adattiva: un limite, una difesa, ma anche una risorsa.
Attualmente il sintomo non è stato completamente rimesso, ma ormai Alice non ricorre più all’attacco bulimico per espellere, per esprimere le proprie emozioni, il proprio disagio. Alice si è avvicinata al proprio sintomo, conoscendone e riconoscendone anche i vantaggi, la funzione altamente difensiva e adattiva per se stessa. Ha scoperto di averlo costruito lei e solo lei può decidere se, quando e quanto rimetterlo.

Bibliografia
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