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Cambiare il cambiamento

di: Dott.ssa Silvia Cipolli

Riflessione aperta sul concetto di cambiamento in terapia.
La riflessione sull’evoluzione del concetto di cambiamento clinico, si apre all’interno del gruppo psicologi dell’Associazione per cui collaboro da diversi anni.

Noi ci occupiamo di recupero e riabilitazione nell’ambito delle (tossico)dipendenze. Dal 1983, l’Associazione accoglie e accompagna nel trattamento e nel reinserimento sociale persone con problemi di dipendenza da sostanze psico-attive.

Negli ultimi anni però, gli ospiti delle nostre comunità, sono portatori di profondi disagi, faticano a relazionarsi in modo adeguato, mettono in atto comportamenti rischiosi per sé e per gli altri, assumono terapie farmacologiche capaci di ”contenere” comportamenti problematici, ma che poi rendono difficile lo svolgimento di attività quotidiane anche banali

Lavorando in comunità diventa quindi inevitabile porsi alcune domande:
Qual è oggi il ruolo della comunità terapeutica? Qual è oggi il ruolo dello psicologo clinico?
Tali domande hanno condotto a importanti riflessioni sul lavoro clinico. E non soltanto in comunità. In studio, come in consultorio, le domande di aiuto che arrivano sono spesso connotate da sfumature psichiatriche o comunque da fragilità emotive e talvolta identitarie sulle quali è opportuno fermarsi a ragionare profondamente. Sono richieste che una struttura privata o semiprivata può ed è in grado di accogliere? Ci sono sul territorio alternative valide a cui potersi realmente appoggiare? E ancora, questa fragilità emotiva, strutturale, relazionale, da dove arriva e come, fino a che punto la si può curare?

In comunità come in consultorio, sembra che la richiesta di molte persone che si rivolgono allo psicologo clinico sia di una presa in carico totale, di una sorta di maternage poco definito, generalizzato, in risposta a fragilità endogene, familiari e forse anche sociali; in risposta a questa precarietà, a questa sorta di nichilismo globale che sta attraversando tutto e tutti, come dice Galimberti nel suo interessante testo, L’ospite inquietante (vedi bibliografia e recensione).

Il percorso clinico quindi in prevalenza si presenta come adozione, come un accompagnamento sine die della persona. Dobbiamo forse rivedere insieme il concetto di psicoterapia?
Cos’è oggi il cambiamento (psico)terapeutico?
Cambiamento come riflessione volta a destrutturare e ristrutturare le risorse-competenze-esperienze della persona (chiave evolutiva) e/o cambiamento come percorso di accoglienza e percorso di consapevolezza di Sé e Riduzione del danno (chiave contenitiva)?

Si tratta comunque di una richiesta impegnativa per i professionisti della salute mentale.
Come, chi contiene, chi supporta Noi?

Forse tali riflessioni rimandano e confermano la necessità di un lavoro preventivo sul territorio, l’opportunità e l’urgenza di costruire e solidificare una rete sociale di supporto e di scambio continuo, necessità formative oltre che squisitamente cliniche. Forse tali riflessioni rimandano all’importanza di rivisitare tutto il lavoro dello psicologo nella nostra società attuale.

Sarebbe importante poter ricevere esperienze e spunti di riflessione sull’argomento, nell’eventualità anche di poter organizzare uno spazio di confronto reale e non solo virtuale.
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Bibliografia
CHANGE, P.Watzlawick, J.H.Weakland, R.Fish, Astrolabio, Roma, 1974.
L’OSPITE INQUIETANTE, U.Galimberti, Feltrinelli, Milano, 2008.

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