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STALKING: quando il "mostro" è quello sbagliato

di Stefano Molfino

Lo stalking, termine anglosassone il cui significato letterale è “persecuzione”, altro non è che il comportamento di colui il quale, con ripetute condotte di minacce, di molestie e di ricatti, verbalmente o per mezzo del telefono, con comportamenti di sorveglianza intrusivi e reiterati, tali da turbare le normali condizioni di vita della persona offesa, genera in lei uno stato di soggezione e di disagio emotivo al punto da costringerla a modificare le sue intenzioni o le sue abitudini di vita.

Tale particolare figura delittuosa, introdotta in Italia con la denominazine di “atti persecutori” (art. 612-bis c.p.) con il D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, è divenuta in poco tempo oggetto di cronaca quotidina, quasi a significare che solo ora ci si renda conto di quante violenze vengano perpetrate nei confronti delle donne. Come mai? Innanzitutto non è vero che solo le donne sono vittima di stalking. In Svizzera, ad esempio, è stata istiutita una casa d'accoglienza per soli uomini che hanno subito tali tipi di violenze, e in Italia si stima che il 18% delle vittime di stalking siano proprio gli uomini. Tale percentuale tra l'altro si ritiene sottostimata data la reticenza di molti uomini ad ammettere di subire violenze di questo genere.

In secondo luogo, il motivo per cui solo ora sembra che vengano commesse migliaia di persecuzioni, mentre prima no, è che alle vittime di stalking è stato dato uno strumento molto utile, ma allo stesso tempo potenzialmente altrettanto pericoloso. La legge attualmente prevede che, quando non è proposta querela per il reato di atti persecutori di cui all'art. 612 c.p., la persona offesa possa esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta. Questo significa che la vittima, restia ad una denuncia penale nei confronti del persecutore, possa scegliere la via dell'avvertimento come deterrente verso una possibile escalation criminale.

Ciò accade spesso quando la persona offesa è legata al suo aguzzino da vincoli di parentela od affetto, ed in molti casi l'ammonimento da parte della pubblica autorità ha effetti salvifici. Tuttavia questo non è il solo strumento nelle mani delle vittime di stalking. Ad integrare infatti tali provvedimenti vi è la più incisiva querela di parte, ossia la denuncia vera e propria di atti persecutori. Una volta presentata, il giudice può disporre il divieto di avvicinamento a determinati luoghi frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa.

Inoltre, qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi frequentati abitualmente dai prossimi congiunti della persona offesa, o da persone con questa conviventi o comunque lagati da realzione affettiva. La lista delle misure che il giudice può adottare prosegue, come pure vi sono le sanzioni a colui che sia giudicato colpevole del reato in questione.

Tuttavia non si può non riflettere anche sull'altra faccia della medaglia, ossia la strumentalizzazione della denuncia ad altri fini, come quando è accaduto a quel padre denunciato per stalking dalla ex compagna, per esser andato ad abitare nel medesimo palazzo al fine di poter vedere più spesso la figlia. Non è primo caso e non sarà l'ultimo, in quanto il conflitto delle separazioni può comportare sconvolgimeti emotivi importanti, e spesso anche ripicche fastidiose.

Per quanto lo stalking sia strumento utile, è importante non venga utilizzato per altri fini, con troppa semplicità e leggerezza, sulla scia di una comunicazione mediatica che troppo spesso è pronta a puntare immediatamente il dito sul primo indiziato.