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L'assegno di divorzio

Avv. Giovanna Chiara
Legale del Centro Progetti Donna

Nel nostro sistema giuridico, come si ricorderà, è stato difficile introdurre il divorzio dal momento che la Chiesa Cattolica ritieneil matrimonio indissolubile e, secondo il Concordato con lo Stato Italiano, mantiene la sua giurisdizione per la nullità del matrimonio celebrato in Chiesa.
Lo Stato Italiano, con la famosa legge n. 898/1970 (modificata nel 1987, ed anche recentemente dal punto di vista processuale), non parla di divorzio, ma di scioglimento del matrimonio civile, cioè quello celebrato solo in Comune e di cessazione degli effetti civili, per il matrimonio celebrato in Chiesa, secondo il Concordato. E configura questo istituto come "rimedio" alla impossibilità di proseguire la convivenza coniugale.

La stessa legge stabilisce quando, non più possibile la convivenza, può essere chiesto lo scioglimento del vincolo matrimoniale: prevede la possibilità di pronuncia immediata in determinati casi: condanna penale di uno dei coniugi per grave reato contro l'altro coniugi o i figli, inconsumazione, divorzio ottenuto all'estero dal coniuge straniero, cambiamento di sesso, ovvero, e questa è la stragrande maggioranza, quando i coniugi vivono separati legalmente da almeno tre anni.
Si sa bene, ma giova ripeterlo, che con la separazione legale (consensuale o giudiziale), si interrompe la convivenza, ma si resta marito e moglie. Fino a che non c'è la sentenza di divorzio, i coniugi separati possono riconciliarsi in quanto riprendono, nella pienezza, la convivenza matrimoniale, con un comportamento di fatto, spontaneo, che non deve essere autorizzato da nessuno, tanto meno dal giudice.
Trascorsi tre anni di ininterrotta separazione, ciascuno dei coniugi potrà chiedere il divorzio e l'altro non ha ragioni giuridiche per opporsi: il giudice del divorzio può solo accertare, su precisa domanda di parte, se la separazione è stata interrotta da riconciliazione o meno.
Col divorzio, il cosiddetto coniuge "più debole", che generalmente è la moglie, ma non è detto... può chiedere l'assegno di divorzio che può essere concesso se ricorrono determinate condizioni stabilite dall'art. 5 della legge stessa:
"Con la sentenza (di divorzio), il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi, anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno, quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive".
Ne consegue che l'assegno di divorzio va chiesto, e devono sussistere le condizioni perché il Tribunale lo conceda.
La giurisprudenza (ossia le sentenze dei giudici) si è esercitata per stabilire quando va dato l'assegno e come decidere del suo ammontare.
1) L'assegno di divorzio è indipendente dall'accordo di separazione. Cioè, il Giudice del divorzio non dovrebbe essere condizionato da quello che è stato deciso in sede di separazione: ma quello stabilito in separazione può essere ... una sorta di "indizio". In via di fatto, se in sede di separazione non è stato stabilito un assegno per la moglie e la moglie si è mantenuta da sola negli anni di separazione, dovrà dimostrare rigorosamente il fondamento del suo diritto.
2) L'assegno di divorzio ha una "funzione" eminentemente assistenziale. Come dire che il coniuge può vedersi riconoscere un assegno solo se si trova in condizioni economiche tali da averne bisogno.
3) Il "bisogno" non vuol dire stato di indigenza assoluta, ma mancanza dei mezzi necessari a mantenere il "tenore di vita" che si aveva nel corso del matrimonio. Dal che deriva che possono ottenere l'assegno di divorzio anche quelle donne che pur avendo mezzi per sopravvivere, non possono, tuttavia, mantenere il tenore di vita che avevano durante il matrimonio per via delle risorse del marito: belle case, servitù, gioielli e vestiti di firma, viaggi e vacanze, ricevimenti, ecc. ecc.. Però bisogna anche che il coniuge obbligato, il marito, continui ad avere tali risorse.
4) Quando sussistono le condizioni sopra dette, il giudice che intende attribuire al coniuge economicamente più debole, l'assegno di divorzio, potrà tuttavia ridurlo, sino ad azzerarlo, in relazione:
- "al contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e a quello comune";
- al reddito personale
- alla durata del matrimonio.
Non esistono "tabelle" fissate dalla legge che stabiliscano l'ammontare dell'assegno di mantenimento per moglie e figli ed, in particolare, per l'assegno di divorzio. Alcuni tribunali si sono dati dei criteri di liquidazione. Particolarmente noto è quello indicato dal tribunale di Monza (cfr. www.Altalex.com). L'assegno viene comunque stabilito sulla base delle risorse reddituali e patrimoniali delle parti e la legge concede al giudice potere discrezionale.
Per completare il quadro, solo se c'è l'assegno di divorzio:
- il coniuge divorziato potrà ottenere il 40% del TFR, che spetta al coniuge obbligato, in caso di cessazione del proprio rapporto di lavoro subordinato, per gli anni in cui il matrimonio (fino alla pronuncia di divorzio), è coinciso con il rapporto di lavoro. Si ricordi, il TFR non spetta pro quota al coniuge, se percepito durante la separazione.
- al coniuge divorziato spetta la pensione di reversibilità dell'altro coniuge. Ma bisogna chiederla con una causa, e verrà divisa tra i coniugi superstiti.
Da ultimo, la legge del divorzio permette ai coniugi di CONCORDARE che uno versi all'altro una certa somma a tacitazione definitiva di ogni possibile pretesa economica. È la cosiddetta devoluzione "una tantum". Il tribunale dovrebbe valutare che la somma sia equa, in genere, si limita a ratificare l'accordo, dal momento che anche in questo caso, non ci sono tabelle e non è prevista una istruttoria sulla congruità davanti al Tribunale.
Tenuto conto, come dicevamo, che la maggior parte della cause di divorzio in Italia, viene promossa quando vi è stata separazione ininterrotta per almeno tre anni, è logico che sia il momento della separazione quello in cui bisogna organizzarsi per la vita separata: come distribuire i compiti di accudimento dei figli, quale dei due deve andarsene dalla casa coniugale, quali le risorse per poter vivere separatamente.
E questo va detto soprattutto per le donne che solitamente si devono maggiormente occupare della crescita dei figli dedicandosi a loro, con minori possibilità di guadagnare.
Spesso, troppo spesso, avviene che nel momento della separazione, sulla spinta emotiva, le donne non riescano a valutare tutte le difficoltà cui vanno incontro, pur di interrompere una convivenza dolorosa.
Quando arriva la richiesta di divorzio, sono passati almeno tre anni dalla separazione e non ci si può opporre, salvo che non ci sia stata nel frattempo la riconciliazione.
Capita che nel momento del divorzio le donne si pentano di aver accettato la separazione a condizioni inique. O comunque avviene che abbiano subito la negatività del comportamento del coniuge verso di loro e verso i figli: situazioni che hanno "rovinato" la loro esistenza.
Ebbene, si assiste, in giurisprudenza, ad un lento cammino che espande il riconoscimento del danno risarcibile, nella fattispecie di "danno esistenziale", con attenzione anche verso i temi della famiglia (legami parentali; potestà dei genitori; vincoli di solidarietà familiare).
Ma questo sarà il tema di un prossimo intervento su questa rubrica "conosci i tuoi diritti"