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L'amministratore di sostegno

Avv. Giovanna Chiara
Consulente del Centro Problemi Donna

Il prossimo 9 gennaio 2007, è il terzo anniversario della legge che ha istituito in Italia l’amministrazione di sostegno: la legge n. 6/2004, che ha profondamente innovato la protezione legale dei soggetti che, pur maggiorenni, non sono in grado di tutelare i propri interessi. La legge ha rappresentato un punto d'arrivo nel vasto dibattito che riguarda disabili. Si inserisce, peraltro con notevole ritardo, nel panorama delle riforme privatistiche che riguardano la salute mentale, inaugurate in Francia nel 1968. Come si sa, i malati di mente (i matti) erano considerati un pericolo pubblico, da ricoverare in manicomio; la società doveva difendersi con norme pubblicistiche.

Si tratta di una riforma che incide sulla quotidianità dei malati psichici, quando si trovano in un momento difficile. Prima di questa legge, doveva per loro essere adottata la drastica misura dell’interdizione o della inabilitazione. Occorreva, con queste misure sancire lo “status” giuridico di persona incapace d’agire, con la conseguente nomina di un tutore o un curatore: misura quasi sempre sproporzionata alle necessità di protezione del soggetto. Altrimenti, l’infermo, il malato di mente era lasciato a se stesso, ai suoi famigliari, al soccorso dei servizi sociali (se c’erano e funzionavano).
Con questa legge finalmente viene spezzata la rigida equazione tra infermità di mente ed incapacità di agire; viene rimossa la connessione, praticamente esclusiva, dei vecchi istituti con l’amministrazione del patrimonio dell’incapace, e si promuove nuova attenzione alla persona, tutelando la “personalità” che, nonostante il disagio psichico, deve svolgersi ed attuarsi nelle formazioni sociali di propria elezione.
La legge è intitolata “Introduzione nel libro I, titolo XII, del codice civile del Capo I, relativo all’istituzione dell’amministratore di sostegno e modifica degli articoli 388,414,417,418,424,426,427 e 429 del codice civile in materia di interdizione e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali”
Consta di venti articoli.

L’art. 1, per così dire, programmatico, precisa che la finalità della legge è quella “di tutelare, con la minor limitazione possibile della capacità d’agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”.
Gli articoli seguenti inseriscono nuove norme nel codice civile ricostruendo con nuove disposizioni il titolo XII del codice civile, sin dalla sua rubrica. Non più “Dell’infermità di mente” , ma “Delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia”.
L’amministrazione di sostegno è regolata dai nuovi articoli 404-413 c.c. e rappresenta l’aspetto più significativo della nuova normativa.
La figura dell’amministratore di sostegno affianca la “persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi”. Quindi, agisce in nome e vece del beneficiario, ovvero l’assiste, per compiere determinati atti (incassare la pensione, trovare ricovero in una istituzione, accettare una eredità, affittare una casa o sfrattare un inquilino, chiedere un sussidio, e così via). Beneficiari possono essere coloro che, anche se non affetti da patologie mentali, sono disabili, depressi, tossicodipendenti, alcolisti, disadattati sociali, anziani: persone che prima di questa legge non avevano tutela.
Il procedimento sembra di estrema semplicità ed elasticità, modellato secondo la necessità e le circostanze. Il giudice - il giudice tutelare che ha sede presso il tribunale o le sezioni distaccate - viene informato con un ricorso (dallo stesso interessato, dai suoi parenti, dagli operatori sociali o dal pubblico ministero) che nel distretto di sua competenza si trova una persona in difficoltà. Si apre un processo civile che viene istruito dal giudice interrogando la persona, convocando i suoi parenti e chi le sta vicino, assumendo informazioni presso gli assistenti sociali, disponendo eventualmente una perizia. Alla fine, lo stesso giudice emetterà il decreto di nomina dell’amministratore - che può essere un familiare, un volontario dei servizi sociali, un amico - (anticipando, eventualmente, tale nomina, in via provvisoria per il compimento di atti urgenti).

E’ il giudice che deve specificare gli atti che l'amministratore deve compiere “in nome e per conto” o a fianco del beneficiario, precisando la data d’inizio e di fine dell’incarico (che può anche essere a tempo indeterminato).
Nello svolgimento della sua funzione, l’amministratore dovrà tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario, informarlo degli atti che va a compiere e comunque riferire dei compiti che svolge all’ufficio del giudice tutelare con la periodicità stabilita nello stesso decreto di nomina.
L’infermo può attivare lui stesso la procedura, indicare la persona dell’amministratore, nominare un proprio consulente, esigere un rendiconto periodico, pretendere in ogni momento la modifica o la revoca del provvedimento.
I diritti che sono in gioco sono diritti soggettivi in quanto la nomina dell’amministratore limita la capacità di agire del beneficiario. Sono diritti che vengono affidati, nella giurisdizione, ad un processo che si svolge davanti al giudice. E’ il giudice che decide con un provvedimento esecutivo, al quale tutti gli interessati devono obbedire.
La legge prevede la possibilità che il Tribunale richiesto di pronuncia di interdizione o inabilitazione, possa trasmettere gli atti al Giudice Tutelare perché ritiene sufficiente la nomina dell’amministratore di sostegno per il compimento di determinati atti.
D’altra parte, anche il Giudice Tutelare può informare il p.m. che nel caso concreto è necessaria una misura di inabilitazione o interdizione, perché il giudizio prosegua davanti al Tribunale, che deciderà sullo “status” di incapacità.
La Cassazione ha stabilito in una recente sentenza (12 giugno 2006, n. 13584) “Appartiene all’apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle ... esigenze, tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario, e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie”. Con la conseguenza che il provvedimento di merito, adeguatamente motivato, è incensurabile in Cassazione.

Il Giudice del merito, cioè quello che valuta il fatto, come si vede, ha ampi poteri discrezionale nell’apprezzamento della infermità e della misura idonea al caso concreto, ma deve adeguatamente motivare la sua decisione.
Certo è che, se la filosofia della legge va condivisa, la tecnica cui il legislatore è intervenuto, anche in questo campo, pone una serie di problemi: per la eterogeneità del nuovo istituto affiancato a quelli vecchi (interdizione/inabilitazione) e non sostitutivo; inoltre - sul versante processuale - per l’articolazione di norme eterogenee, alcune specificamente dettate, altre richiamate dal procedimento di interdizione/inabilitazione: il tutto nel contesto processuale generale che le frequenti leggi di riforma e di riforma delle riforme di questi anni hanno disarticolato nei rivoli dei differenti riti, su cui si esercitano i processualisti, come una volta di discuteva sul sesso degli angeli, mentre ogni tribunale adotta proprie prassi. Nella applicazione pratica della legge, è avvenuto che il giudice tutelare di Dolo - Sezione distaccata di Venezia - si sia dichiarato incompetente perché il caso concreto meritava l’interdizione e abbia rinviato gli atti al Tribunale di Venezia; che il Tribunale di Venezia anziché pronunciare l’interdizione, abbia rimandato il processo al giudice tutelare di Dolo, con una poderosa sentenza (n. 1061/2005) di 78 pagine, che affronta la complessa tematica, con intenzioni totalizzanti. In questa sentenza si vuole dare la definizione dei processi che da questa legge derivano, al punto 8, attribuendo “natura giurisdizionale, contenziosa e accertativa” ai procedimenti di interdizione e revoca dell’interdizione con la necessità, in questi processi della difesa tecnica” cioè del patrocinio di un avvocato. Attribuisce “natura amministrativa, additiva e solidaristico-partecipativa” al procedimento di amministrazione di sostegno”, sostenendo per il giudice tutelare un “ruolo coordinatorio e solidaristico” per cui non vi sarebbe necessità della difesa tecnica nel procedimento di amministratore di sostegno”. Sul punto della necessità della difesa tecnica (dell’avvocato) vi sono pronunce contrastanti dei vari tribunali: così, in via di fatto, per alcuni ci vuole l’avvocato, in altri no.
C’é chi vuol sostenere che la difesa tecnica, in questi procedimenti non è preclusa, ma facoltativa. Ma così, si fa un’operazione discriminatoria, con buona pace degli articoli 2, 3 e 24 della Costituzione: e non solo perché c’é chi può permettersi l’avvocato e chi non può (tanto più che il patrocinio per i “non abbienti", pur previsto da una legge, non ha i finanziamenti necessari), ma soprattutto perché, la povera gente che va da giudice con i servizi sociali o con i parenti (talvolta serpenti), non si rende conto di esercitare dei diritti, ma si affida alla benevolenza alla assistenza alla beneficenza di chi fa cadere ai poveri le briciole della sua tavola imbandita di alti principi etici.
Sul punto della presunta competenza amministrativa del Giudice Tutelare, ci permettiamo, umilmente, di dissentire.

Riteniamo che occorra considerare:
che anche il giudice tutelare, con la sua pronuncia di nomina dell’amministratore di sostegno, incide su diritti soggettivi personali, limitando (a fin di bene) la capacità di agire del soggetto;
che da ciò si ricava che il procedimento davanti al giudice appartiene alla “giurisdizione”, mentre l’amministrazione appartiene ad altro ambito, al potere esecutivo che deve mettere in campo i servizi sociali;
che i servizi sociali non hanno il potere di costringere il soggetto ad essere assistito, ma devono fare la segnalazione al giudice;
che solo la pronuncia del giudice tutelare, che è provvedimento impugnabile, è munita di forza esecutiva, provvisoria o definitiva.
che solo il provvedimento del giudice (decreto o sentenza che sia) ha il potere di costringere le condotte dei soggetti interessati, anche contro la loro volontà.
Ci permettiamo di concludere con la citazione di Paolo Dusi, procuratore della repubblica presso il tribunale per i minorenni di Venezia (Quaderni Ass. it.. giudici per i minorenni e la famiglia - Ed. Unicopli 1994) a proposito del processo a favore dei minori (anch’essi “soggetti deboli”, nella crisi della loro famiglia). “La giurisdizione come ambito (tutela della giurisdizione) significa che non in nome di una investitura divina, né di delega popolare; non in forza di un carisma personale, di una pratica sperimentata o di un successo conclamato il giudice... "ordina" o "dispone" alcunché. Significa che, se anche ipotizzassimo un giudice ... il quale in forza di un sapere specifico (giuridico, psicologico, sociologico ecc.) o di una singolare conoscenza dell'animo umano possedesse la chiave per risolvere nel migliore dei modi una crisi ... non per questo il giudice sarebbe abilitato ad imporre qualsiasi comportamento (positivo od omissivo) ad un soggetto qualsiasi.
La giurisdizione dunque descrive e delinea un ambito specifico entro cui un determinato tipo di intervento si legittima e si giustifica; un ambito prescelto in vista di fini determinati e regolato da modalità particolari; le modalità sono date dalle regole che scandiscono la procedura. Diritto soggettivo e processo sono gli elemento che costituiscono la giurisdizione (Satta). In questo ambito rigorosamente delimitato sta la giustificazione del particolare tipo di intervento che è attribuito al giudice..., e solo a lui; ma questo tipo di intervento è giustificato solo dal fatto di realizzare di determinati diritti soggettivi e di rispettare, nel realizzarli determinate regole.
La giurisdizione costituisce fonte e al tempo stesso limite del potere di intervento del giudice; fonte e limite sono ovviamente al di fuori del potere del giudice ed è qui che nasce, per il giudice, il dovere di rispettare le leggi, le quali sono esse a fondare quel potere e a porre quei limiti.

L'ambito dell'intervento del giudice ha quindi limiti ben precisi, perché il suo provvedimento dispositivo può aversi solo là dove c'è un diritto da reintegrare (o da comprimere), (altrimenti il giudice deve dichiarare il non luogo a provvedere). D'altra parte - quasi a compensare tali limiti - questo intervento ha la caratteristica, tutta particolare, di poter modificare determinate situazioni contro la volontà del soggetto che in esse è implicato”.

Avv. Giovanna Chiara