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Ogni mattina a Jenin

di: Susan Abulhawa
Editore: Feltrinelli
EAN: 9788807881336
Recensione di: Silvia Cipolli, psicologa, dal libro di S. Abulhawa

La storia di una famiglia palestinese, attraverso diverse generazioni: dal patriarca Yehya e la moglie Bessima, ad Hassan e Dalia, genitori di Yussef e Amal.

Sono le parole di Amal che raccontano. Le vicende familiari raccontano in realtà la storia di un popolo, il popolo palestinese, perseguitato dal popolo ebraico nella costruzione dello stato di Israele. Persone private oltre che della propria terra, della propria vita, della propria identità. Persone costrette a vivere nelle baracche dei campi profughi, circondate da morte e devastazione, con l’amara consapevolezza che i palestinesi avevano pagato il prezzo dell’olocausto ebreo.

Il racconto si svolge prevalentemente nel campo profughi di Jenin, con ambientazioni anche in un campo in Libano e in America, dove Amal andrà a vivere con la figlia Sara.

La famiglia Abulheja diventa il simbolo delle tante famiglie palestinesi devastate dalla tragedia dell’esilio, la perdita della terra e degli affetti, la vita nei campi profughi, condannate a sopravvivere in attesa di una svolta, in realtà dimenticate da tutto il resto del mondo.

L’aspetto interessante del libro, oltre allo spaccato storico che delinea nell’arco di oltre 60 anni, è il forte senso di dignità, di integrità, di spessore umano che emerge in ogni personaggio, in ogni episodio raccontato. Qualcosa che va oltre la vividezza della crudeltà quotidiana, che si contrappone tenacemente al costante senso di perdita e di morte. Nel campo profughi di Jenin vengono costruite scuole, i bambini giocano, gli anziani raccontano e si raccontano intorno al narghilè.

Tutti sopravvivono grazie all’amore, al valore incontrastato che viene dato ai rapporti umani, all’affetto; valori che restano, accompagnano e guidano fino alla fine, oltre la morte. Ricordiamo l’amicizia tra Yussef e Ari, tra Amal e Huda, l’amore tra Amal e suo padre Hassan. Emblematico in tal senso il breve  e intenso stralcio di quotidianità a Jenin descritto da Amal:

Avevamo poche cose e pochissime necessità. Non ho mai visto un parco giochi e non ho mai nuotato nel mare, ma la mia infanzia è stata magica, sotto l’incanto della poesia e dell’alba. Non ho più trovato un luogo sicuro come l’abbraccio di mio padre, quando nascondevo la testa nella cavità del suo collo e delle sue spalle robuste. Non ho più conosciuto un momento più dolce dell’alba, che arrivava con l’odore di tabacco al miele e mela e le splendide parole di Abu Hayyan, Khalil Gibram, Al Ma’arri, Rumi.

Non sempre capivo ciò che dicevano, ma i loro versi erano liricamente ipnotici. Grazie a loro conobbi le passioni di mio padre, le sue sconfitte, le sue angosce e i suoi affetti. Papà mi trasmise tutte queste cose. E fu un dono splendido che nessuno riuscì a strapparmi. Decenni dopo, nell’alba grigia di un aprile in Pennsylvania, le parole dei versi ossessivi di Gibran e il ricordo della voce baritonale di papà sarebbero stati il mio unico motivo di conforto.